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9 gennaio 2012 1 09 /01 /gennaio /2012 11:49
«Nel corso dell’anno appena trascorso molte volte si è fatto riferimento all’Europa come all’ambito minimo entro cui determinare le scelte dei singoli paesi. Oggi questa affermazione è enfatizzata dalla potenza della crisi, che è in primo luogo crisi dei debiti sovrani ovvero degli stati nazionali.
 
Le risposte che fin qui sono venute sono state insufficienti ad arginare la pressione speculativa, in particolare per il rinculo sovranista che è stato messo in campo dai paesi più importanti, a partire dal duo franco-tedesco che ha dettato l’agenda della crisi. Per la Germania, senza rispolverare i fantasmi del passato, si è trattato di aprire un contenzioso con il resto del continente, per ora vincente, teso a imporre politiche di austerità in particolare agli stati con maggiori debiti pubblici, tra i quali l’Italia, per garantire la tenuta del proprio modello economico basato su esportazioni e sul vantaggio generato dall’innalzamento dello spread dei paesi debitori, che hanno garantito ad un sistema che si finanziava con tassi al 2% di acquisire sul mercato cedole ben più redditizie.
 
Il mantra tedesco è stato quello di evitare ad ogni costo anche il più piccolo segnale di ripresa inflattiva, condannando nel contempo i paesi più deboli a vere e proprie recessioni economiche. In più, nel nome di un’indipendenza assoluta della Bce, si è assistito senza un battito di ciglio alla rigidità di Trichet che, per ben due volte prima dell’autunno, ha aumentato i tassi di interesse in un momento in cui c’era bisogno di maggiore liquidità, contribuendo non poco allo scatenarsi della crescita degli spread per i titoli dei paesi più esposti. Lo stesso fondo “salva stati”, l’Esfs, è risultato del tutto inadeguato, sia per dotazione che per capacità reale di intervento, così come si avvia ad esserlo il nuovo Esm, proposto dopo il deludente vertice intergovernativo di due settimane or sono. L’unico segnale positivo, per altro giudicato insufficiente dalle stesse reazioni dei mercati, è stato il fiume di liquidità a vantaggio delle banche, immesso dal governatore Mario Draghi, e il contestuale abbassamento dei tassi al minimo storico dell’1%. Eppure, si ha la netta sensazione che ciascuna di queste manovre non sia altro che un pannicello caldo a fronte di una ben più radicale necessità di ripensare il sistema europeo nel suo complesso.
 
A vent’anni dal trattato di Maastricht possiamo iniziare a trarre, pur nella tempesta della crisi, qualche utile indicazione per costruire un credibile futuro per i cittadini europei. È stato un ventennio in cui ha largamente prevalso l’ideologia monetarista per quanto riguarda la costruzione dell’Unione, mentre le politiche nazionali sono state assediate da due fenomeni complementari: da un lato le destre europee che vedevano prevalere, forse con la sola eccezione della Germania, i fenomeni populisti, di cui Berlusconi e Sarkozy sono stati di certo i maggiori interpreti, dall’altro l’affermazione della cosiddetta “terza via” nel campo socialista europeo, che era nata con l’illusione di assecondare gli istinti brutali del liberismo con una qualche attenzione alla dimensione sociale. La crisi attuale sta facendo saltare entrambe le tendenze, come dimostrano simmetricamente la sconfitta sonante di Zapatero e l’uscita di scena di Berlusconi, dando spazio ad una via tecnocratica che può, anzi deve, fare i conti il meno possibile con la democrazia.
 
È nemico dell’Europa (!) il referendum proposto da Papandreu, è pericoloso il ricorso ad elezioni in Italia. La crisi, insomma, si deve affrontare con il corredo dello “stato d’eccezione”, con tutto ciò che ciò comporta sul piano della democrazia sostanziale.
 
Eppure per affrontare la crisi, le politiche di austerità non solo non basteranno, ma potrebbero essere il de profundis dell’intero modello europeo, basato sulla costruzione della pace e sul welfare. Ci sarebbe bisogno, per contrastare davvero la crisi, di cambiare politica, non di penalizzare i settori più deboli delle popolazioni europee. Per cambiare politica c’è bisogno di una intenzione chiara, quella di puntare ad un processo di maggiore integrazione europea e di contrastare le politiche di austerità, e di una massa critica. L’intenzione comincia ad emergere in molti settori della sinistra europea, a partire dai maggiori partiti socialdemocratici e nello stesso Pse, la massa critica va costituita mirando a sostituire l’attuale egemonia di destra al governo in Europa, dalla Francia alla Germania, passando per l’Italia, con una vittoria delle sinistre e dei centrosinistra continentali.
 
Per fare ciò, è necessario che tutte le forze politiche che condividono questi obiettivi, superando antiche ruggini ed egoismi, si mettano a disposizione di un cambiamento necessario. Penso che anche il mio partito, Sinistra Ecologia Libertà, debba farlo con decisione, proponendo una strategia pienamente europeista e contribuendo al dibattito in corso nelle forze di sinistra europee, in particolare nel Pse. La crisi può produrre molti affanni, ma può davvero essere l’occasione di una nuova stagione per i popoli europei.
Gennaro Migliore
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